13 dicembre 1990
- Categoria: Articoli
- Pubblicato Mercoledì, 14 Maggio 2014 21:45
- Scritto da Palmiro Prisutto
- Visite: 14194
Augusta: zona ad elevato rischio
Anche stavolta è andata bene!
È il commento più diffuso sulle labbra della gente di Augusta, Priolo e Melilli, dopo il terremoto e la paura della notte di S. Lucia.
Non erano passate neanche due settimane da quando Augusta ed i Comuni circostanti erano stati dichiarati «area ad elevato rischio di crisi ambientale» dal Ministero competente che la "Natura" (molto più competente dei più competenti) ha dato un chiarissimo avvertimento.
Si sapeva che i tredici complessi chimici e petrolmici sorti in pochi anni tra Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa erano stati costruiti su un’area riconosciuta "ad alto rischio sismico".
E proprio a pochi chilometri al largo del mare di Augusta è stato localizzato il vero epicentro del terremoto, ma "qualcuno" agli organi di informazione e stampa si è affrettato a fornire un epicentro di comodo, a 50 Km più a sud, altro esempio di quei troppi "silenzi o segreti di stato" che gravano su questo territorio.
“Ufficialmente (questa è la verità finora fatta trapelare) la zona industriale non ha subito danni rilevanti”, ma ad Augusta e Priolo nessuno crede a questa rassicurante dichiarazione.
Sappiamo di danni all'Enichem Augusta, all'Enel Tifeo di Augusta, alla Cementeria di Augusta, agli stabilimenti della Montedison, abbiamo saputo di un incendio alla raffineria Esso di Augusta, abbiamo saputo che sono in corso accurati "controlli" alla raffineria ISAB, ma la gente, come di consueto, non saprà mai la verità, come da tempo non si sa più nulla degli incidenti in fabbrica. Ma la conta dei danni e dei morti, dei feriti e dei senzatetto ha già scoperchiato la pentola delle bugie di Stato: sono stati in molti a notare l'assenza del capo dello Stato, dei Ministri e di tutto il loro seguito ai funerali delle vittime del terremoto a Carlentini, forse perché i 12 morti di Carlentini valgono molto meno di un magistrato o di un politico uccisi dal terrorismo o dal potere mafioso.
Ci sono oltre duecentomila persone che sono costrette a vivere in quella zona che in fatto di rischi veri non è seconda a nessuna su tutto il territorio di questa Repubblica: oltre duecentomila persone che sono costrette a respirare ogni giorno oltre 600 tonnellate di vapori d'ammoniaca, di cloro, di anidride solforosa, di ossido d'azoto riversate in atmosfera da quei tredici complessi industriali che riforniscono più di mezza Italia e parte d'Europa di benzina, gasolio, lubrificanti, fertilizzanti, polimeri, detergenti e derivati vari della raffinazione del petrolio; oltre duecentomila persone che sono costrette a vivere su un terrritorio diventato un'immensa discarica di rifiuti tossici e nocivi: i 42 Kmq della zona industriale di Augusta producono da soli il 60% dei rifiuti tossici e nocivi del territorio dell'intera Sicilia (25.000 Kmq); oltre duecentomila esseri umani che sono costretti a vivere su un territorio che le massime Autorità della Sicilia, contro la volontà popolare, hanno elevato a centro di raccolta e smaltimento dei rifiuti ospedalieri dell'intera Regione.
Altri rischi particolari come grandi depositi di carburante per le navi all'interno del centro abitato di Augusta, a diretto contatto con le abitazioni civili o i grandi serbatoi di ammoniaca a pochi metri dall'abitato di Priolo non sono stati finora presi in debita considerazione da alcuna Autorità competente, nonostante le fondate preoccupazioni dei cittadini.
E poi, per continuare, gli incidenti industriali taciuti o il silenzio monetizzato; il ricatto occupazionale; i cento milioni di metri cubi d'acqua della falda emunti ogni anno dalla zona industriale (che costituiscono la metà del fabbisogno idrico regionale).
Eppure tutto questo era stato denunziato tra 1976 e il 1980 quando nella rada di Augusta i pesci morivano a migliaia di tonnellate, quando i bambini di Augusta nascevano malati, quando si scoprì che il cancro in questa zona ne uccideva uno su tre, quando si scoprì che la durata della vita media in questa zona era cinque-sei anni inferiore alla media nazionale; quando, con la complicità di alcuni politici, per fare spazio ad un altro stabilimento del “progresso” (la raffineria ISAB) fu evacuato e raso al suolo l'abitato di Marina di Melilli.
Ed ancora, per finire, il rischio militare: i depositi e gli arsenali della base della Marina Militare; e poi lo strano ed impenetrabile silenzio sulla base NATO nelle viscere della terra sotto il comune di Melilli dove la VI flotta USA custodisce i propri arsenali chimici e forse anche atomici. Rischi a non finire, che potevano, potrebbero e possono sommarsi e che la notte del 13 dicembre 1990 avrebbero potuto generare una catastrofe.
Ma all’orizzonte si profilano altri rischi: il rischio che altre migliaia di persone si aggiungano ai tanti senzatetto del Belice e dell'Irpinia; il rischio di vedersi dimenticati da quello Stato che ha sfruttato e continua a sfruttare economicamente questo angolo di terra italiana; (quanto “restituirà”, per la ricostruzione ai siciliani colpiti dal terremoto quello Stato italiano che ogni anno incassa dal porto di Augusta circa 1.200 miliardi di utili netti e senza contare quelli delle tasse sulla benzina e sugli altri prodotti petroliferi che partendo da qui riforniscono mezza Italia e parte dell'Europa?); c’è il rischio che questo terremoto, che già non fa più notizia, venga considerato come l'ennesima scocciatura che viene dal sud, che turba la tranquillità di un governo ancora incapace di dare una risposta ai tanti problemi del meridione. Il rischio che su questo terremoto e sulle mancate conseguenze venga stesa un'altra «coltre di silenzio».
(29 dicembre 1990 dopo le dichiarazioni del Ministro Lattanzio a Carlentini)
Don Palmiro Prisutto